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Get closer than ever to your customers.
So close that you tell them what they need well
before they realize it themselves
– Steve Jobs, Co-founder Apple Inc.

Fino a non molti anni fa le aziende potevano trascurare e prendere meno in considerazione i loro clienti rimanendo indenni, in quanto questi ultimi avevano poche scelte e minor potere di influenzare le attività e il raggiungimento degli obiettivi societari.
Il focus non era indirizzato a questioni esterne come i bisogni, i desideri e le preferenze dei clienti, bensì a quelle interne come la produzione, il miglioramento della produttività e delle performance, l’ottimizzazione dei costi. L’obiettivo primario era l’eccellenza operativa e di prodotto, definendolo in modo da soddisfare un insieme limitato di bisogni del cliente o potenziale tale, per poi estenderlo a tutto il mercato.
Emblematico quanto veniva scritto da Henry Ford all’interno della sua autobiografica: “Any customer can have a car painted any color that he wants so long as it is black” (Ford, 2018).
Il vecchio orientamento al mercato che le imprese perseguivano era basato sulla product centricity. Avendo una visione interna, si focalizzavano sulla produzione efficiente di prodotti e servizi superiori raccontati attraverso le tradizionali campagne di massa e non sugli acquirenti di quei prodotti. La letteratura tradizionale di marketing considerava i consumatori come semplici destinatari delle offerte delle imprese (Von Hippel, 1978) e il loro ruolo era limitato alla possibilità di selezionarle o meno.
Al giorno d’oggi però gli studiosi considerano obsoleta questa tipologia di approccio (Von Hippel, 2005). I clienti (sempre più alla ricerca di soluzioni e non di prodotti), i contesti e i paradigmi stanno cambiando e le aziende si rendono conto che sarà necessario ben altro per ottenere un successo sostenibile a lungo termine e questo non potrà essere perseguito senza un sincero interesse verso il consumatore che in questa era di veloci e costanti cambiamenti, diventa il centro indiscusso dell’attenzione.
A distanza di anni, in un presente dove ogni autoveicolo è costruito quasi “su misura”, cercando di soddisfare ogni esigenza degli acquirenti chiave, Julie Francis, membro del team di progettazione colori e materiali di Ford Europa, afferma che “Per gli acquirenti, scegliere il colore della propria auto è qualcosa di estremamente personale: osservando il fenomeno più da vicino, si scopre che cultura, moda e trend dei vari mercati europei hanno un impatto determinante sulla scelta cromatica del cliente” (firenze.repubblica.it).
La realtà è cambiata.

Cosa vedremo in questo post?
Lo stato attuale della customer centricity.
Cosa significa essere orientati al mercato.
La disruption dello status quo: l’inizio dell’evoluzione.
L’evoluzione della figura del cliente.
Da una logica di massa ad una di personalizzazione.
Il valore della personalizzazione.
La conoscenza e la comprensione alla base della customer centricity.
Un approccio data driven per la customer centricity.
La Customer Lifetime Value come elemento di segmentazione e targetizzazione.
L’analisi del Customer Journey e delle fasi del funnel.
L’integrazione omnicanale.
Dalla reazione alla previsione.
La customer experience come vantaggio competitivo sostenibile.


Inoltre, se non hai ancora letto l’introduzione a questa linea di post, la puoi trovare qui.



1.1 Lo stato attuale della customer centricity.

Il paradigma della customer centricity non è nuovo e viene discusso da più di 50 anni. Già nel 1954, Drucker scrisse nel suo libro, The Practice of Management, che: “it is the customer who determines what a business is, what it produces, and whether it will prosper”. Da quel momento, la centralità del cliente iniziò a divenire un concetto decisivo anche se le ricerche in merito presero piede solo all’inizio degli anni 90 trovando sempre più interesse con il passare del tempo.
Nonostante ciò, alcune imprese faticano ancora a conformarsi completamente a questo approccio e “il cliente deve stare al centro” rischia di restare solo e soltanto un mero slogan. Molte sostengono di essere centrate sul cliente ma la verità è che la maggior parte di esse sono solo consapevoli di questo continuando però a operare con processi e incentivi legati al prodotto. Altre invece stanno muovendo i primi passi. Spesso vi è una discrepanza tra l’esperienza che un’azienda crede di offrire e quanto percepito dal consumatore (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about?), essendoci un grande divario tra le due parti: mentre il 75% delle imprese pensa di essere centrata sul cliente, solo il 30% dei consumatori ritiene che sia così (Capgemini Digital Transformation Institute analysis, Capgemini digital customer experience executive survey, 2017).
In aggiunta a ciò, ad oggi vi è un gap tra le aspettative dei clienti e come queste vengono soddisfatte dalle aziende. Solo il 38% dei consumatori statunitensi afferma che le imprese e i dipendenti con i quali hanno dei rapporti comprendono le loro esigenze mentre il 46% di quelli ex USA dichiara di vivere la stessa situazione (PwC, Future of Customer Experience Survey 2017/2018).
Non basta dire di essere focalizzati sul cliente. Bisogna mettere in pratica questo principio in ogni aspetto delle attività, non trattandosi di una considerazione una tantum ma di un processo che pone un focus costante sul cliente.
Di certo, ripensare un’organizzazione attorno al cliente può essere un compito arduo, specialmente dopo anni di successi guidati dal prodotto. Una vera e propria sfida che richiede un’evoluzione culturale rispetto al pensiero tradizione, nuove competenze e una volontà di aderire a modelli di lavoro moderni.
In qualsiasi caso, il panorama aziendale sta cambiando rapidamente e il processo di cambiamento è avviato, consolidandosi sempre più. Harvard Business Review rileva che oltre un terzo delle società Fortune 500 si sono ristrutturate in un’ottica di customer centricity, riconoscendo, tra le altre cose, che il campo della competizione si è spostato dal prodotto all’esperienza complessiva del cliente.
Per un’azienda, raggiungere la centralità del cliente non è più un elemento di differenziazione ma un fattore decisivo per sopravvivere.



1.2 Cosa significa essere orientati al mercato.

La customer centricity, interessando vari settori e aziende a diversi livelli organizzativi, ha visto emergere più definizioni sia dalle comunità accademiche che da quelle imprenditoriali. Al fine del presente elaborato, la customer centricity viene intesa come la “propensione di un’impresa a porre il cliente al centro delle proprie decisioni, traducendole in una customer experience di valore per il cliente e per l’azienda stessa” (Addis e Guerini, 2017).
Da questa definizione traspare l’essenza della centralità del cliente, la quale non riguarda unicamente il modo in cui prodotti vengono venduti bensì il processo di duplice creazione del valore, per i clienti e per l’azienda.
Essere orientati al mercato significa, oggi, essere cliente – centrici” (Guerini e Fornaciari, 2020) difatti questo nuovo orientamento consiste nel mettere il cliente al primo posto (Deshpande et al., 1993; Houston, 1986; Jaworski e Kohli, 1993), diventando il punto di partenza, riferendosi al fenomeno secondo il quale le realtà che soddisfano le esigenze, i bisogni e le aspettative dei clienti meglio della concorrenza riescono a generare un vantaggio competitivo e una redditività maggiore (Day, 1994; Jaworski e Kohli, 1993; Kirca et al., 2005; Kohli e Jaworski, 1990). Il cliente attuale e potenziale viene posto al centro del business e dei modelli operativi.
Lo scopo di questo approccio non è più il modo in cui i prodotti vengono venduti ma la creazione di valore aggiunto, soddisfando i reali bisogni, espressi ed inespressi, dei clienti in tempo reale, ossia nel momento in cui sorgono. Levitt (1960) affermò che le imprese non dovrebbero più concentrarsi sulla vendita di prodotti ma piuttosto sul soddisfare le esigenze e i bisogni dei clienti, divenendo più importante di qualsiasi altra priorità strategica.
Si vuole sottolineare come l’offerta continua a rivestire una posizione di centrale importanza e come sia scorretto pensare che la customer centricity prescinda dai prodotti o servizi che sicuramente dovranno essere di reale valore e utilità, ripensando i prodotti e i servizi soffermandosi su ciò che il cliente vuole, di cui ha bisogno e per cui è disposto a pagare. Proposte che anch’esse dovranno essere orientate al singolo cliente specifico, a partire da uno sguardo che, a differenza del passato, andrà dall’esterno dell’organizzazione verso l’interno e non viceversa.
Inoltre, le imprese iniziano a comprendere il vantaggio di dotarsi di una catena di fornitura dove vi è un contatto diretto con i clienti chiave così da poterli conoscere per offrire ciò che effettivamente vogliono e sono disposti a pagare, soddisfando le loro esigenze in continua evoluzione. Anche la supply chain per essere strategica ed efficace dovrà essere incentrata sul cliente.
Sarà invece il business model che dovrà mantenere allineate le tre componenti critiche ossia ciò che il cliente chiave si aspetta, ciò che l’azienda ha promesso (la value proposition) e ciò che può essere fornito (le capabilities). Pena la vanificazione delle altre attività.



1.3 La disruption dello status quo: l’inizio dell’evoluzione.

Cercando di superare il vecchio orientamento al mercato, i CMO e i marketing manager stanno ripensando alle modalità in cui il business viene condotto, attraverso la sperimentazione di strategie finalizzate allo sviluppo di relazioni di valore con i clienti attuali e potenziali andando oltre l’acquisto. L’interesse non sarà più rivolto solo alla vendita di un prodotto ma soprattutto alla cura della relazione con gli acquirenti. Inizia così una trasformazione da impresa centrata sul prodotto, che trovava i clienti per la sua offerta, a impresa centrata sul cliente, che trova dei prodotti per i suoi clienti.
Difatti, la prima vera sfida della customer centricity è quella di superare questa visione così da ottenere quelle capacità di comprendere concretamente le esigenze e i bisogni dichiarati e inespressi del cliente, le sue preferenze, le circostanze e la fase del viaggio d’acquisto adattando i modelli di business e le attività per fornire soluzioni altamente personalizzate, non prodotti, con il fine di aiutare il cliente, non di vendere.
Per molte aziende, rispondere alle nuove aspettative dei clienti con relazioni proattive, ingaggianti e coinvolgenti significa un allontanamento radicale dallo status quo. L’elemento di disruption rispetto allo status quo è proprio l’approccio cliente – centrico che dovrà essere favorito all’interno di tutti i dipartimenti, funzioni e processi aziendali.
Per essere sviluppato, questo nuovo paradigma dovrà pervadere tutta l’organizzazione e non unicamente la funzione Sales & Marketing. Gli sforzi tesi al raggiungimento dei nuovi standard non sono circostanziati in un’unica business unit ma rappresentano un mandato strategico per l’intera azienda ed essendo, quello della customer centricity, un processo complesso, dovrà passare da un concreto cambiamento culturale, organizzativo, relazionale, procedurale e tecnologico poiché il nuovo orientamento al mercato risulta altamente correlato con questi elementi.
La centralità del cliente è prima di tutto una questione di cultura aziendale. Perciò la cultura e l’organizzazione delle nuove imprese dovranno evolversi per sostenere un costante miglioramento della Customer Experience ed essere sempre allineate con i bisogni del consumatore.
In aggiunta, si ricorda che per ottenere un’esperienza cliente eccellente si dovranno eliminare i silos tra i team che compongono la struttura aziendale, soprattutto tra quelli di vendita, marketing e service in quanto è da questi che inizia il viaggio verso la centralità del cliente ed è dove l’impresa incontra il mercato. I marketer dovranno essere in grado di considerare l’impresa nella sua globalità, evitando approcci compartimentali e operando collettivamente.
Chiunque nell’ambiente aziendale dovrà cooperare, condividendo e supportando il valore prioritario secondo il quale ogni decisione e azione parte dal cliente, diventandone sostenitori in quanto si è compreso che la fedeltà e l’advocacy (migliore rispetto a quella della forza vendita) è la nuova componente critica per la redditività a lungo termine. Per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile ogni parte dell’organizzazione dovrà soddisfare i bisogni e le aspettative della clientela meglio della concorrenza. In tal senso, sarebbe utile definire incentivi basati su metriche incentrate sul cliente per favorire il perseguimento di nuovi e migliori modi per contribuire a questa causa primaria.
Allora la centralità del cliente, oltre ad essere una strategia di business volta ad enfatizzare la priorità del cliente per tutta l’organizzazione, è una questione di mentalità e l’efficacia delle partnership interne all’organizzazione ne sono un prerequisito necessario. Il 54% dei marketer, consapevole di quanto sopra scritto, crede che il ruolo futuro del marketing sarà quello di collaborare con altre funzioni come l’IT, le vendite e la finanza per realizzare le strategie aziendali (The Future Marketing Organization, Marketing Week / MiQResearch, 2018). Nell’era digitale, con l’ascesa dei social media e il feedback immediato dei clienti, i confini tra le funzioni tradizionali divengono ancor più labili.

(Shah et al., 2006)


1.4 L’evoluzione della figura del cliente.

Il ruolo del cliente è mutato: non è più un mero destinatario passivo delle decisioni di marketing prese dall’azienda e imposte al target bensì diviene un soggetto attivo, proattivo e partecipativo (Fournier, 1998; Vargo e Lush 2008). Un coinvolgimento e una partecipazione, quella del consumatore, sempre più pervasiva, fino ad entrare attivamente nei vari processi decisionali e creativi dell’offerta secondo un approccio collaborativo descritto con l’espressione “co-creazione di valore” (Prahalad e Ramaswamy, 2004) dell’esperienza e nello sviluppo congiunto dell’offerta; in una forma di partnership con l’azienda stessa e di contribuzione alle interazioni. Si dovrà passare dall’innovare per i clienti all’innovare con i clienti (Desouza et al., 2008; Nambisan, 2002). Le ricerche mostrano come si può avere un vantaggio competitivo nel coinvolgere i clienti nello sviluppo dei prodotti – servizi, sin dalle prime fasi di progettazione, e delle campagne (Prahalad e Ramaswamy, 2004). A tal proposito, un mezzo efficace per raccogliere nuove idee da acquirenti e partner mediante i canali digitali è il “crowd – sourcing”.
Il fattore “engage” e quindi il coinvolgimento del cliente di oggi, è fondamentale poiché questo desidera interagire con l’impresa. Ecco che il valore non dovrà essere definito solo per il cliente ma anche assieme ad esso, così da allineare l’offerta dell’impresa partendo da lui e dalle sue necessità per poi procedere a ritroso: il nuovo approccio al mercato definisce i prodotti e i servizi dall’esterno dell’impresa. Si dovrà passare dall’affrontare i problemi di business alla risoluzione di quelli dei clienti, dovendosi concentrare sull’ottenimento di clienti felici.
Per questo motivo, le aziende dovrebbero coinvolgere in modo proattivo gli acquirenti nella creazione del valore in senso ampio (Ramaswamy, 2008).
La customer centricity indica proprio il percorso da seguire per relazionarsi con la domanda in modo innovativo. Una domanda in continua evoluzione, con nuovi modelli di acquisto e di caratteristiche peculiari, la quale dovrà essere accompagnata da un cambiamento delle politiche di marketing specialmente nel contesto post-pandemico.
Il consumatore di oggi è attento nelle scelte, è sempre più informato, sofisticato ed esigente sia dal punto di vista qualitativo sia da quello della trasparenza delle comunicazioni e delle informazioni che riceve. Le aspettative raggiungono nuovi standard e la personalizzazione delle interazioni diviene imprescindibile per creare relazioni profonde con il target.
Innanzi tutto, si osserva come il cliente digitalmente connesso è fortemente dinamico con aspettative, preferenze e comportamenti in rapida evoluzione. Un’identità in costante mutamento che, abituandosi velocemente ai nuovi standard, ricerca un miglioramento continuo. Le organizzazioni si ritrovano ad operare in ambienti in cui le aspettative e le preferenze dei consumatori rischiano di cambiare prima che esse riescano a soddisfare i loro bisogni. Ciò che oggi è innovativo, domani potrebbe divenire ordinario. Un circolo di miglioramento che vede accelerazioni giorno dopo giorno per via di incrementi costanti delle aspettative.
Anche i modelli di acquisto stanno subendo delle trasformazioni, passando dal discrezionale all’essenziale. Questa tendenza ha visto un brusco incremento per via dell’impatto che il Coronavirus ha avuto sui bisogni e sulle attitudini comportamentali.
Il nuovo cliente, soprattutto per via degli effetti della pandemia, è responsabilizzato e parsimonioso. Spesso colpito finanziariamente e/o psicologicamente, riduce o interrompe gli acquisti non essenziali così da aumentare la selettività nel selezionare offerte utili e di valore (EY Future Consumer Index, “How COVID could change consumer behavior”).Il rapporto qualità-prezzo è una delle principali variabili chiave nei processi decisionali.
Il nuovo consumatore ha vissuto una trasformazione da soggetto che accetta passivamente quanto proposto dalle imprese a detentore di potere, richiedendo esperienze differenti. Esperienze che dovranno necessariamente essere memorabili, personalizzate, rilevanti, piacevoli, vissute su una pluralità di canali e sviluppate in base alle specifiche peculiarità, circostanze e momenti.
Questo, ottenendo un controllo crescente su quando, dove e come effettuerà un acquisto, si aspetta che quanto scelto venga consegnato e sia reso disponibile nel luogo e nel momento che lo soddisferà al meglio ed esige che ciò avvenga velocemente, semplicemente e comodamente. Le persone hanno un forte appetito per ciò che può agevolargli la vita in modo flessibile ed efficiente. Infatti, nonostante i meccanismi che costituiscono le fondamenta dell’economia digitale siano tecnologicamente complessi, i clienti si aspettano semplicità e fluidità. Queste tipologie di interazioni a “sforzo” minimizzato vengono oggi richieste ad alta voce e il Covid – 19 ha amplificato l’esigenza di facile accesso a prodotti, servizi e informazioni. Non solo, le interazioni attraverso il proprio canale preferito dovranno avvenire senza attrito e il passaggio tra questi dovrà essere senza soluzione di continuità. Nel nuovo mondo digitale, in cui le persone sono più connesse che mai, la gestione dell’esperienza del cliente interessa molteplici touchpoint e canali, prediligendo spesso le interazioni touchless e i pagamenti online, riducendo parallelamente le occasioni di acquisto fisico. Durante il Coronavirus, più del 77% dei soggetti ha aumentato l’uso di interfacce touchless per relazionarsi con le imprese, evitando quelle fisiche, e il 62% continuerà a farlo dopo la pandemia quando le restrizioni saranno rimosse (Capgemini Research Institute, AI in Customer Experience Customer Survey, April–May 2020).
In un simile contesto, la velocità diventa un fattore critico di successo e il tempo diventa un’arma competitiva, dovendo soddisfare le richieste nel minor tempo possibile. Non solo per la consegna dei prodotti: i clienti esigono anche risposte rapide a problemi, domande e reclami. Il 71% delle persone dice di essere sempre più interessata ai servizi che permettono un risparmio di tempo e fatica (Facebook IQ (2018), “Trends 2.0”. Research conducted by Crowd DNA) mentre più del 40% degli intervistati nel Global Consumer Insights Survey di PwC ha dichiarato che pagherebbe un extra per la consegna in giornata (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/18).
In un’epoca in cui le richieste e le esigenze si evolvono in continuazione, la velocità delle prestazioni diventa necessaria per creare esperienze positive simili a quelle offerte dalle BigTech le quali continuano a fissare nuovi standard.
L’ottimizzazione del tempo e dello sforzo per i consumatori sono la nuova normalità. I brand che massimizzeranno il valore e la convenienza, minimizzando lo sforzo richiesto, sono quelli che prospereranno in futuro. Per rispondere alle mutevoli esigenze dei clienti, le aziende dovranno diventare estremamente agili e per questo motivo il 67% dei CEO afferma di aver dovuto ripensare la propria supply chain dato l’impatto dirompente del Covid – 19 (2020 Global CEO Outlook, KPMG International).
Le restrizioni imposte dalla crisi sanitaria e l’isolamento che ha comportato, hanno impattato in modo pervasivo sugli ambiti economici e sociali, traslando la maggior parte degli acquisti e delle interazioni sui canali digitali, accelerando notevolmente il mutamento delle abitudini. Si tratta di una profonda trasformazione delle attitudini comportamentali del consumatore (alcune già presenti in passato, altre che si sono acuite) e, di conseguenza, anche delle sue preferenze in termini di acquisto e fruizione di beni e servizi.
I consumatori portatori di nuove preferenze non solo possono individuare online ogni cosa che necessitano o desiderano ma possono farlo in qualsiasi luogo e momento ricevendolo sempre più spesso, in periodi brevissimi. In pratica, si presentano modalità innovative sia per le persone intente a procedere negli acquisti, sia per le imprese che dovranno coinvolgerle sviluppando esperienze pertinenti, differenziate e positive lungo tutto il processo.
Ciò ha portato ad un cliente digitalmente più esperto, immerso nella tecnologia e iperconnesso in quanto spesso online per ragioni differenti così da personificare un abile navigatore del web diretto verso la soddisfazione delle esigenze personali.
Internet ha dato inizio all’era dell’informazione e i consumatori, divenuti più scettici, ne sono diventati voraci utilizzatori. Il web, i social network, i motori di ricerca, gli aggregatori, la condivisione tra pari di recensioni, opinioni ed esperienze hanno permesso una riduzione delle asimmetrie informative tra le parti e il confronto tra le offerte ad un clic di distanza. Non serve altro che uno smartphone per comparare prezzi, leggere migliaia di review, comprendere la reputazione, la sostenibilità e molto altro. Il tutto in pochi secondi. Ciò restituisce ulteriore potere nelle mani dei clienti altamente informati.
Queste nuove abitudini e comportamenti sono destinate a perdurare anche quando l’emergenza sanitaria verrà superata. Infatti, sono cresciuti di tre volte i consumatori che dichiarano che, nel prossimo futuro, continueranno ad usare social network, chat, chatbot e app di messaggistica come canale principale per comunicare con le organizzazioni e per effettuare acquisti, per la maggior parte online (KPMG, International Research, 2020). In aggiunta, l’82% dei soggetti intervistati da KPMG nella “International Research” afferma che in futuro continuerà ad utilizzare strumenti di pagamento digitale.
Non si tratta unicamente del cambiamento del comportamento dei consumatori ma anche dei modi di creazione, valutazione e condivisione delle esperienze pre e post acquisto.
Al giorno d’oggi, l’ambiente economico dinamico, segnato dalla fulminea obsolescenza delle competenze digitali, e il panorama dei consumatori rimodellato stanno rapidamente cambiando le regole del gioco. Tuttavia, allinearsi con le suddette richieste è una sfida complessa, la quale si accentua per via della migrazione verso le relazioni digitali: la disruption tecnologica ha rivoluzionando il rapporto tra aziende e clienti. Una sfida che conduce ad un incremento degli investimenti nelle interazioni per sondare e implementare nuove modalità di comunicazioni online.
Senza dubbio alcuno, le tecnologie digitali sono un prerequisito e un abilitatore irrinunciabile per l’elaborazione di un progetto di trasformazione verso la centralità del cliente, ma non sono sufficienti da sole. Difatti hanno pari importanza le capacità aziendale di capire e affrontare concretamente i bisogni espressi e latenti del cliente fornendo esperienze positive, altamente personalizzate e rilevanti per le preferenze, le circostanze e il momento di ogni individuo. Anche se le relazioni con i futuri acquirenti non si tradurranno in rapporti 100% digitali, la customer centricity rimarrà un pilastro permanente: che sia attraverso canali fisici o virtuali, l’engagement andrà ripensato e modellato a misura di cliente.



1.5 Da una logica di massa ad una di personalizzazione.

Per risultare competitivi e aumentare le probabilità di successo è necessario porre il cliente in una posizione centrale, da protagonista e per questo la differenziazione e la personalizzazione della relazione risulta fondamentale per indirizzare offerte rilevanti, pertinenti e contestualizzate.
La personalizzazione permette alle aziende di sviluppare relazioni migliori con i clienti, incrementando la redditività e la fedeltà (Kelsey Robinson, interview with Dynamic Yield CEO LiadAgmom, “What’s happening with personalization on the front lines”, McKinsey, 2018). In passato, la maggior parte delle attività di marketing erano basate sul prendere in considerazione un “cliente medio” fittizio. Ad oggi però, grazie ai progressi tecnologici e analitici, i messaggi e le offerte possono essere adattate a gruppi target sempre più ristretti, fino ad arrivare potenzialmente al singolo cliente, o a micro-bisogni e occasioni (Carlotti et al., 2004).
I nuovi consumatori, richiedendo una maggiore discrezionalità di scelta, non vogliono più una semplice transazione bensì una vera e propria esperienza di acquisto e di utilizzo che sia altamente personalizzata in tutti gli aspetti del business ed incentrata su di loro. Perciò, la tradizionale comunicazione di massa diventa sempre meno efficiente per guidare il target, dovendo passare a quella one-to-one. Non si potrà più comunicare e trattare ogni cliente allo stesso modo.
Il loro desiderio è di sentirsi unici ed esigono che ciò venga riconosciuto dalle imprese le quali dovranno prima comprendere i desideri particolari per poi risolvere i loro problemi offrendo soluzioni dedicate ed esperienze che li soddisfino come individui. In tal senso, non potrà più bastare sapere il nome, l’età e il codice postale così da inserirli nelle varie comunicazioni (Turner, 2017) ma si dovrà dimostrare di conoscere l’acquirente profondamente e personalmente come individuo. Una sorta di celebrazione dell’eterogeneità.
La personalizzazione delle interazioni adattate ai bisogni specifici ha come abilitatore la tecnologia e permette di allineare rapidamente i prodotti – servizi, le informazioni e le raccomandazioni al singolo cliente in modo pertinente, fornendo la risposta corretta, al momento giusto sul canale adeguato. Per risponde alle diverse esigenze di acquisto non si potrà indirizzarli indistintamente verso la stessa opzione.
Inoltre, all’aumentare della complessità dei clienti, aumenterà la necessità di soluzioni ad hoc.
La capacità di sviluppare, fornire e, se possibile, prevedere l’esperienza giusta (anticipando i possibili futuri passi) nel momento preciso in cui il consumatore la desidera permette di sviluppare la customer loyalty incrementando il valore della vita del cliente e definendo il ritorno sull’investimento in marketing così da ottenere maggior fatturato e profitti, consolidando la posizione aziendale.
Per giunta, l’offerta e le interazioni personalizzate permetteranno di generare esperienze attraverso le quali i clienti si ritroveranno al centro di tutte le decisioni aziendali così da conferirgli maggior controllo. Quanto detto trova riscontro in uno studio condotto dall’Università del Texas, dal quale traspare che il bisogno di personalizzazione degli acquirenti deriva dalla possibilità di controllare e semplificare il processo decisionale, facilitando il processo di acquisto (Murthi, 2003.). Se si fornirà maggior controllo e si ridurrà lo sforzo, si potrà fornire una più rapida risoluzione dei problemi.
Il dato di maggior interesse probabilmente non è che l’80% delle persone sono più propense a rivolgersi, per effettuare degli acquisti, a quelle realtà che offrono soluzioni ed esperienze personalizzate (Epsilon. “New Epsilon research indicates 80% of Consumers are more likely to make a purchase when brands offer personalized experiences”, 2020) ma che i suddetti brand rischiano di perdere il 38% della customer base a causa di una personalizzazione insufficiente (Gartner. “Gartner Survey Shows Brands Risk Losing 38 Percent of Customers Because of Poor Marketing Personalization Efforts.” March 11, 2019). Ignorando questi concetti inerenti all’importanza della differenziazione, i consumatori non si sentiranno compresi e ciò porterà ad un tasso di abbandono dei clienti maggiore, una minor fedeltà, meno acquisti d’impulso e anche un ROAS inferiore (Forbes. “Personalized Customer Experience Increases Revenue And Loyalty.” October 29, 2017): se le aziende non saranno in grado di fornire soluzioni ed esperienze simili, raramente riceveranno una seconda chance dall’acquirente.



1.6 Il valore della personalizzazione.

Più un’azienda riuscirà a profilare e a suddividere il proprio target di riferimento in diversi gruppi specifici con svariati bisogni e aspettative, meglio potrà servirli (Day, 2003) ottenendo redditività superiori rispetto ad altre soluzioni di aggregazione della clientela. Quanto appena detto è stato dimostrato empiricamente da Rust e Verhoef (2005), il cui modello CRM ha sfruttato l’alto livello di eterogeneità nella risposta dei clienti agli interventi di marketing.
Si tratta del tradizionale studio e analisi del cliente al fine di segmentare per comprendere le sue necessità, desideri e frustrazioni. La segmentazione fornisce le informazioni per identificare, attrarre, sviluppare e mantenere i clienti più preziosi ma anche quelli più vulnerabili alla concorrenza, cogliendo le criticità che minano il processo al fine di individuare soluzioni adeguate.
Buyer persona e i tradizionali principi STP sono operazioni preliminari, non solo tutt’ora valide ma strategiche per garantire il successo negli step successivi in ottica di customer retention (ma anche per cogliere le opportunità di mercato e per minimizzare le minacce e i rischi aziendali). Nonostante il processo di segmentazione e di posizionamento sia simile a quello del passato, non si dovrà pensare al key customer come “segmento di mercato” ma come una persona reale.
Naturalmente col passare del tempo gli approcci alla segmentazione, da sempre base fondante della comprensione dei clienti e dell’ambiente circostante, si sono evoluti, ampliati e innovati essendo mutato il comportamento stesso dei consumatori, il quale è sempre più dinamico, ma anche per via dell’aumento della competizione e dell’influenza del digitale e della tecnologia. Se in passato era sufficiente segmentare in modo superficiale personalizzando limitatamente l’esperienza, oggi risulta di primaria importanza proporre ai clienti soluzioni studiate su misura per ogni cliente.
Per conoscere meglio i clienti, si è andati ben oltre alle convenzionali componenti sociodemografiche e attitudinali, prendendo in considerazione, per esempio, anche quelle psicografiche, comportamenti, sulla redditività futura o sul CLV (come vedremo in seguito), sui bisogni da soddisfare, sugli interessi e sulle varie preferenze del target o una combinazione di queste (Capgemini Consulting, Winning at segmentation: Strategies for a digital age), non focalizzandosi solo su ciò che viene comprato ma anche come. Età, sesso, reddito e livello di istruzione non possono più bastare. Viene richiesto un livello più profondo di analisi. Inoltre, nell’articolo redatto da Capgemini Consulting (Capgemini Consulting, Winning at segmentation: Strategies for a digital age), si sostiene che essendo la centralità del cliente una fonte crescente di vantaggio competitivo, diverrà fondamentale per le imprese adottare approcci più “esterni” alla segmentazione, non solo fattori di valore per l’azienda ma anche quelli per il consumatore. Viene ripreso così il concetto di duplice creazione di valore che assume una valenza condivisa.
Per sviluppare la Customer Centricity è necessario profilare i clienti, nonché mappare l’ecosistema esperienziale, analizzare la Voice of the Customer, ovvero l’ascolto del giudizio dei clienti, e individuare i momenti chiave dell’esperienza, i cosiddetti Moments of Truth. L’essenza del coinvolgimento è quella dell’ascolto e del dialogo aperto e continuo, accumulando le raccomandazioni, le dichiarazioni, le domande e i reclami per poi trasformarli in conoscenza utile a migliorare costantemente.
L’intera organizzazione dovrà avere un focus particolare sull’acquisizione e gestione di questa tipologia di input esterni che verranno elaborati per diventare insight aziendali essenziali. Da questa prospettiva, i clienti diventano una preziosa fonte di informazioni e i loro feedback (positivi e negativi), attivamente sollecitati e correttamente raccolti dai vari canali e fonti, rappresentano una risorsa per il miglioramento dell’impresa e per guidare il cambiamento per aumentare il livello di soddisfazione. I consumatori devono essere ascoltati.
Dal 2019 al 2020 si è osservato un incremento delle aziende intente a monitorare la soddisfazione dei clienti (+4%), le recensioni online (+4%) e il Net Promoter Score (+6%) (Hubspot, State of Service Report, 2020.

(Hubspot, State of Service Report, 2020)

1.7 La conoscenza e la comprensione alla base della customer centricity.

Imperativo nel processo di segmentazione moderno in un’era digitale è la comprensione dei clienti per determinare le sue esigenze razionali ed emotive e i suoi comportamenti in ogni touch point chiave lungo il processo d’acquisto, soprattutto nei momenti critici.
Quindi, nella profilazione ottimale, l’organizzazione e la categorizzazione dei clienti attorno ad elementi di omogeneità richiede la conoscenza per comprendere profondamente, chiaramente e in modo autentico il singolo acquirente, cosa compra, i canali preferiti, le reazioni ai cambiamenti di prezzo e promozione, le sue esigenze, i problemi, i bisogni (anche irrazionali) e le caratteristiche uniche così da divenire driver fondamentali per rispondere efficacemente al target di riferimento con iniziative strategiche, offerte ed esperienze differenziate, individuali e pertinenti che massimizzino il valore nel posto e nel momento giusto. Una visione e un’accurata profilazione a 360°. Secondo Ernst & Young, il cambiamento deve necessariamente partire da un’attenta analisi delle nuove attitudini, priorità e prospettive del consumatore così da potersi allineare.
Infatti la combinazione dell’identità del cliente in ogni touchpoint e canale utilizzato, online e offline, permetterà di acquisire una comprensione ancora più dettagliata dei loro interessi e comportamenti, facilitando la personalizzazione dei messaggi di marketing e l’elaborazione di strategie di engagement più efficaci e rilevanti per ogni tipologia di cluster di clienti nei rispettivi percorsi:  attraverso la conoscenza della customer base, l’azienda potrà offrire prodotti, servizi, esperienze, prezzi mirati a segmenti di clientela specifici, costruendo un’esperienza di fruizione del contenuto totalmente su misura.
Nel nuovo modello aziendale, per ottenere un vantaggio competitivo duraturo, si dovrà sviluppare un livello di comprensione granulare dei bisogni, delle aspettative dei clienti e del contesto.
La conoscenza dei consumatori però diventa sempre più ardua se si valuta che la loro natura dinamica porta ad un continuo mutamento delle preferenze, cambiando secondo cicli di 3 – 6 mesi (Integrated_Digital_Services.pdf) anche se indipendentemente dal tipo di cambiamento, la creazione di valore per i clienti rimane il principio cardine. Indubbiamente ciò richiede agilità e flessibilità per reagire velocemente ai cambiamenti, adattandosi ai nuovi standard.



1.8 Un approccio data driven per la customer centricity.

Per sviluppare e proporre soluzioni individuali si rende necessaria una mole elevata di dati relativi al cliente, i quali sono la risorsa strategica alla base, come si vedrà, di un’attività incentrata sul cliente. Una presa di consapevolezza importante dal momento che meno del 43% delle organizzazioni afferma di essere in grado di acquisire informazioni ed effettuare analisi sui clienti e meno del 39% dichiara di saper effettuare le misurazioni e le attribuzioni delle campagne (Forrester, Kick-Start your adtech/martech convergence, 2017). Per questo motivo John Bates di Adobe Analytics ha dichiarato che “If data is this new oil, then much of it remains under the earth” (O’Neil, 2019).
Le aziende hanno già a disposizione un’ingente mole di dati raccolti da relazioni passate e dai vari canali e piattaforme, ai quali si aggiungono quelli di terze parti. Tra i vari canali, quelli digitali offrono un’opportunità unica per tracciare i profili dei consumatori, le informazioni sociodemografiche, geografiche, comportamentali ma anche sulle loro abitudini, preferenze, esigenze ecc.
International Data Corporation stima che vi sono 5 gigabyte di dati per ogni persona sul pianeta. Dati grezzi, destrutturati, frammentati, incompleti e quindi di scarsa utilità per le organizzazioni. Perciò, attraverso una strategia di governance dei dati e un’infrastruttura tecnologica incentrate sul cliente, dovranno essere integrati e trasformati in informazioni applicabili per ottenere una visione più completa, centralizzata e cross – channel dei clienti. La sfida della business intelligence è proprio quella di approcciarsi, analizzare e interpretare grandi insiemi di dati a disposizione delle aziende per fornire informazioni utilizzabili per guidare le strategie di marketing grazie ad una visione più profonda e olistica delle esigenze e preferenze, anche inespresse.
In una simile complessità e con un aumento dei dati su cui basare le decisioni, le organizzazioni non potranno prescindere da una gamma di sofisticati strumenti con grande potenza di calcolo, soluzioni MarTech, software e analisi avanzate basate, tra le altre cose, su modelli statistici descrittivi e predittivi, processi di autoapprendimento, machine learning e intelligenza artificiale. Il processo decisionale dovrà essere guidato dall’analisi dei dati, mettendo al centro la voce del cliente.
Queste tecniche e strumenti sono un ulteriore abilitatore per sviluppare la customer centricity in quanto permettono la raccolta di informazioni su un numero sempre crescente di canali per tracciare e anticipare il comportamento dei consumatori in tempo reale, allo scopo di ottenere ed agire in base a visioni complete dei comportamenti, dei bisogni, dei desideri e dei pattern individuati. Si può quindi affermare che le tecnologie intelligenti applicate alla gestione e all’elaborazione dei big data hanno rivoluzionato le interazioni tra brand e consumatori, offrendo opportunità per scoprire modelli comportamentali dei clienti in modo da poter personalizzare quando e dove raggiungerlo, su quali canali, e quali contenuti avranno maggiore risonanza.
L’applicazione di una strategia di marketing personalizzata alimentata dall’analisi dei dati e della potenza tecnologica permetterà di imparare, reagire ed adattarsi alle realtà mutevoli dei clienti (che è quanto si aspettano). Infatti, questi tipi di insight significativi possono essere supportati dalla tecnologia e dalla data science per monitorare e prevedere i segnali dal mercato e dai clienti, elevando la rilevanza delle offerte e delle interazioni.
Ogni input dovrà indicare come si potrà creare valore reale per entrambe le parti, sia quello offerto al compratore sia quello che i diversi tipi di acquirenti generano per l’organizzazione. Nelle aziende centrate sul cliente gli insights a valore aggiunto, troppo spesso raccolti ed elaborati in modo frammentato (o non considerati affatto), sono il motore che guida questo processo e la chiave per fare la differenza nel business.
L’arricchimento delle informazioni permette di comprendere sempre di più e sempre meglio il consumatore.
Quanto appreso verrà poi capitalizzato ed integrato nella fase di progettazione strategica delle campagne di marketing per rispondere alle esigenze in continua evoluzione del target. Per differenziarsi e rimanere competitivi sul mercato vi è una continua necessità di rinnovamento delle proprie conoscenze. In effetti, vincere sulla concorrenza significa essere agili e veloci nel sapere qualcosa sui clienti di cui i competitor non sono a conoscenza. Questa è il principale fattore di successo e di crescita a lungo termine per le aziende centrate sul cliente.
Tuttavia, mentre i brand seguono questo percorso, persiste la preoccupazione dei clienti per la loro privacy, preoccupazione che si traduce in riluttanza a fornire liberamente i propri dati, non comprendendo appieno come verranno utilizzati e protetti. Una proprietà dei dati che sempre più si sta spostando dalle aziende verso i clienti, anche grazie alle crescenti pressioni normative. Clienti che sono sempre più consapevoli dell’elevato valore dei propri dati e che questi vengono tracciati assieme ai loro comportamenti e abitudini.
I soggetti vogliono personalizzazione ma anche una garanzia del rispetto della privacy ed un controllo per visualizzare, modificare e rimuovere quanto registrato. Si tratta del “Personalization Paradox”: per offrire esperienze personalizzate i soggetti devono fornire una quantità sempre maggiore di dati ed informazioni sulla propria persona, ma rimane una ritrosia nel concederli. Questi dovranno fidarsi delle modalità con cui le aziende proteggono la loro privacy. L’88% dei consumatori americani afferma che è proprio il livello di fiducia verso il brand che determina la loro predisposizione a condividere informazioni personali (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/2018).
Sicuramente è una sfida ardua che dovrà essere affrontata attraverso una gestione etica, responsabile e trasparente dei dati raccolti e della privacy che ne consegue, salvaguardando la sicurezza da violazioni e furti al fine di garantire il giusto equilibrio tra personalizzazione ed integrità. In caso contrario, la fiducia verso l’azienda verrà compromessa.



1.9 La Customer Lifetime Value come elemento di segmentazione e targetizzazione.

Per le aziende cliente centriche non tutti i clienti sono uguali (Jarach e Reina, 2017).
Decisiva è anche una solida conoscenza del lifetime value del target per sapere quali cluster di clienti privilegiare (in termini di performance, margini e fatturato) così da consolidare una relazione duratura ed ottenere, infine, la loro fiducia. Il Customer Lifetime Value viene inteso come il valore attuale dei flussi di cassa futuri netti associati al singolo cliente (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about). Non deve essere confuso con la redditività storica del cliente essendo il CLV un concetto “lungimirante”.
Come accennato in precedenza, se l’interesse finanziario di un’impresa orientata alla vecchia logica di mercato è quello di massimizzare il valore di ogni prodotto, quello di un’impresa cliente-centrica è la massimizzazione nel tempo del valore di ciascun cliente sapendo che non tutti sono uguali. Nell’orientamento al prodotto si perseguiva come obiettivo la “market share” mentre in ottica di centralità del cliente l’obiettivo è quello di ottenere la “share of customer” ossia la quota massima del reddito spendibile dal gruppo di consumatori attuali, cercando di saturare tutti i loro possibili bisogni. Si passa dalla vendita di un prodotto a più clienti possibile alla vendita di tanti prodotti ad un solo cliente.
Negli anni, il CLV e le relative implicazioni, hanno ricevuto una crescente attenzione. Avinash Kaushik scrissenelsuo testo Web Analytics 2.0, Web Analytics: An Hour A Day “I reserve the best hugs, kisses, smiles, love, respect and my deepest admiration for Marketers and Analysts who use Lifetime Value computations”.
In un contesto in cui è molto più difficile attrarre nuovi clienti, le aziende hanno la necessità di sviluppare la fedeltà di quelli migliori e l’82% di queste concorda sul fatto che la conservazione della customer base è più economica dell’acquisizione di nuovi clienti (Mansfield, 2016). Difatti, Harvard Business Review e Forbes rilevano che acquisire nuovi clienti costa cinque volte di più rispetto al mantenimento degli attuali (Gallo, 2014) che spenderanno fino al 67% in più (Abramovich, 2017) e avranno una probabilità maggiore del 50% di provare i nuovi prodotti o servizi del brand (Saleh, 2020). Le statistiche riportate mostrano chiaramente l’importanza di un programma volto alla cura della CLV dei clienti esistenti poiché l’aumento dei profitti è un obiettivo che raramente può essere perseguito esclusivamente con l’ottenimento di nuovi acquirenti dipendendo soprattutto dalla fidelizzazione e dalla gestione di quelli attuali che creeranno valore nel medio – lungo termine, non potendosi concentrare solo sulla prima conversione. L’obiettivo è quello di nutrire e mantenere il cliente, sviluppando una strategia di customer centricity a lungo termine.
Un vantaggio per tutti, non essendo qualcosa di utile solo al soddisfacimento del cliente ma anche la scelta più vantaggiosa a livello finanziario per l’organizzazione.
La suddetta logica punta al superamento dell’approccio transazionale al fine di “gestire relazioni di scambio con gruppi di acquirenti di interesse chiaveal fine di perseguire vantaggi competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a lungo termine tra clienti e fornitori” (Hakansson e Wootz, 1979). Dunque, per lo sviluppo della customer centricity è necessario mettere in atto strategie di marketing volte all’instaurazione e al mantenimento di relazioni profittevoli a lungo termine con clienti chiave selettivamente acquisiti. In quest’ottica, per essere strategici, è importante identificare questa tipologia di clienti i quali dovranno essere trattati separatamente da quelli occasionali, adattando l’offerta alle loro esigenze specifiche ed investendo in prodotti/servizi a grande valore aggiunto, così da cogliere la grande opportunità di aumentare il CLV non potendo elaborare esperienze per tutti in modo indistinto. Un’impresa cliente centrica non solo comprende ed analizza le preferenze, i desideri e i bisogni dei clienti ma anche il loro valore in relazione ai profitti: elemento critico di successo per queste aziende evolute è la fidelizzazione, il mantenimento e la soddisfazione dei clienti al fine di aumentare il loro valore nel più ampio arco temporale possibile. L’advocacy del consumatore diventa il nuovo capitale del brand.
Si ricorda che i clienti di oggi, informati e inseriti in un ecosistema digitale, hanno sempre più aspettative e una vasta gamma di opzioni a disposizione provenienti da competitor aggressivi. Nonostante la fiducia dei consumatori sia da sempre fondamentale per il successo, questo ventaglio di opzioni ne rende complesso il mantenimento, ostacolato sin dal primo segno di esperienza negativa. In un contesto simile, per sfruttare i benefici che l’advocacy concede, si dovranno mettere i consumatori e le loro esigenze al centro dell’attività (Hubspot, State of Service Report, 2020).
Chiaramente, non significa essere avversi all’aumento del bacino clienti ma piuttosto prendere consapevolezza di questi vantaggi relazioni di lungo periodo.
Comunque, anche in tal senso, i clienti soddisfatti e fidelizzati integrano le azioni di marketing interne, promuovendo il brand e le rispettive offerte, soprattutto con il passaparola positivo e le raccomandazioni, così da creare un circolo virtuoso: i canali digitali hanno fornito svariate piattaforme per condividere le proprie esperienze al mondo, le quali divengono sempre più influenti nei processi d’acquisto. Si creerà così un flywheel dove i clienti stessi e gli utenti, che hanno vissuto esperienze straordinarie, alimentano i processi all’inizio del funnel così da alimentare le vendite.
Le ricerche mostrano come i contenuti di amici e familiari hanno il maggior impatto nel guidare le decisioni di acquisto, soprattutto tra i Millennials (Stakla 2017). Dopo un’esperienza positiva, l’83% dei clienti sarebbe felice di fornire una raccomandazione se gli venisse chiesto (Al-Hawi, 2017) e il 65% afferma che i familiari e gli amici  sono il riferimento più influente quando si tratta di acquisti di alto valore (SurveyMonkey, 2018). In aggiunta, il passaparola positivo aumenta l’autenticità e la fiducia nel brand (Facebook, 2019).
Ecco come la retention dei clienti attuali è una fonte di crescita già nelle mani delle organizzazioni, non solo in termini di up-sell o di cross-sell.
Ecco che attraverso l’instaurarsi di rapporti duraturi vanno a ridursi da ambo le parti sia l’opportunismo che i costi transazionali (Morgan e Hunt, 1994). Per questo motivo, un’allocazione non ottimale delle risorse disponibili farebbe ridurre i ricavi e porterebbe ad un aumento dei costi non necessari: l’analisi e la conoscenza dei costi resta ancora in primo piano poiché è più importante che mai spendere i budget in modo scrupoloso e oculato, analizzando con estrema attenzione la redditività ed evitando gli sprechi degli sforzi aziendali così da massimizzare il valore economico delle offerte apprezzate maggiormente.
Si sottolinea come non si tratti tanto di riduzione dei costi, quanto di ottimizzazione di questi. Per esempio, si potrà avere un costo di acquisizione del cliente (CAC) maggiore per quelli che potrebbero essere mantenuti a lungo, avendo un valore superiore. Mentre per i soggetti a basso valore si dovrà valutare una riduzione dei costi.
Si può quindi affermare che in ottica di customer centricity, il CLV è un ottimo metodo di segmentazione della clientela.



1.10 L’analisi del Customer Journey e delle fasi del funnel.

Le attività di marketing e le comunicazioni continuative andranno sviluppate in relazione alla fase del processo di acquisto in cui il cliente si trova e le scelte, gli obiettivi e i comportamenti dovranno essere differenziati in tal senso. È necessario quindi captare e soddisfare i bisogni del cliente fornendogli in seguito una finestra di dialogo che lo guidi nell’acquisto. Per questo motivo, sia gli accademici che i professionisti, riconoscono l’estrema utilità degli strumenti digitali per la mappatura e il monitoraggio delle fasi del percorso del target come strumento di gestione strategica.
Le imprese adottano sempre di più un approccio analitico al customer journey per ottenere una comprensione completa dei percorsi e del profilo del cliente. Prerequisito di questa tipologia di analisi, come sopra descritto, è la costruzione di una base di dati organizzati; dati di prima, seconda e terza parte, di natura qualitativa combinati con quelli di natura quantitativa. La capacità di seguire il cliente attraverso i canali, i device e di creare velocemente esperienze personalizzate in tempo reale si basa su dati accurati, coerenti e aggiornati.
La Journey Analytics parte con il tracciamento del percorso del cliente, pre e post acquisto, e continua con lo studio dei comportamenti nelle diverse fasi del customer journey in tutti i punti di contatto con il brand, sapendo quali canali i target vogliono usare e come verranno usati.
Allora, per raggiungere questo risultato, si dovranno studiare in modo approfondito e nel dettaglio le fasi del funnel e i touchpoint online ed offline di cui il cliente si avvale, in un’ottica di omnicanalità basata sui comportamenti e le preferenze. Strutturare il viaggio del consumatore significa indagare ciò che il cliente pensa, sente e percepisce mentre interagisce con l’azienda nei punti chiave del ciclo di vita della relazione. Nessun punto di contatto, sia fisico che virtuale, dovrà essere tralasciato quando si prende consapevolezza del fatto che una customer experience positiva dipende dall’intero percorso, da quando inizia a formarsi la consapevolezza fino a quando raccomanda il prodotto o il servizio (Capgemini Consulting, Digital Transformation Institute analysis).
Delineare il percorso del cliente e i vari canali utilizzati per entrare in contatto con l’impresa, sarà il fondamento per definire, attuare e gestire esperienze coinvolgenti e differenziate in ogni singolo touchpoint del customer journey, non solo al momento dell’acquisto ma anche nelle fasi precedenti e successive ovvero nel post – sales. Tale momento trova la sua utilità sia nell’ascolto e nell’assistenza, sia nell’up – selling o nel cross – selling, cogliendo le opportunità di vendita.
In aggiunta a quanto detto, la mappatura dei “punti di contatto” e l’ascolto della Voice of the Customer non permetterà solamente la comprensione della soddisfazione del cliente, dei suoi bisogni e necessità ma anche di quei momenti delicati (c.d. Moments of Truth) in cui vi è una maggiore propensione del cliente ad interrompere i propri acquisti abituali o di perdere l’affezione con l’impresa. Una presa di consapevolezza necessaria per porre rimedio alle criticità e alle inefficienze.
Il passo successivo sarà quello di dotarsi di adeguati modelli operativi per implementare iniziative che rispondano alle aspettative dei clienti e risolvano le criticità tra cliente e impresa (c.d. pain points). Si va a delineare quindi un processo che ha come obiettivo un miglioramento continuo che parte dalla centralità del cliente e sfocia nell’implementazione delle iniziative appartenenti alle aree di opportunità individuate. Ecco che questo tipo di analisi permetterà di migliorare l’esperienza dal punto di vista del cliente ma anche di aumentare il guadagno dell’azienda, tagliando costi non necessari e aumentando le opportunità di ricavo.
La relazione che dovrà essere costruita con i clienti chiave per risultare sostenibile dovrà essere di lungo periodo, e la fidelizzazione e l’advocacy, obiettivo ultimo del funnel di marketing, potranno essere perseguite solo coinvolgendo il target e interagendo con esperienze positive in ogni fase del customer journey.
Dopo aver analizzato e compreso le aspettative del cliente rispetto a ciascun canale, allora si potrà struttura la strategia di canale.
Capgemini Consulting ha sviluppato il Channel Management Strategic Framework, il quale attraverso cinque domande, permetterà di sviluppare una strategia di canale finalizzata al raggiungimento dei particolari obiettivi di un’organizzazione (Capgemini Consulting, Channel strategy framework for success).

1. Channel Introduction.
Il piano parte con il capire quali canali vengono usati dai clienti (attuali e potenziali) e come, così da individuare quelli che soddisfano gli obiettivi strategici di business, facendo crescere i ricavi e riducendo i costi. In questa fase si dovranno analizzare anche le differenze operative richieste dai nuovi canali.
Comprendere le esigenze del cliente è l’input più importante per elaborare una strategia di canale.

2. Channel Optimization.
Nella seconda fase, si verifica costantemente l’orientamento di ogni canale agli obiettivi di vendita e di interazione con il cliente. Il fine del monitoraggio delle performance è quello di guidare i processi e i cambiamenti necessari.

3. Channel Migration.
Avendo implementato i canali corretti e avendo verificato la loro efficacia si possono fare valutazioni sulla redditività dei clienti e il costo che ogni canale necessita per soddisfare le loro esigenze. I clienti verranno così indirizzati al canale appropriato e ciò dovrà essere percepito come un miglioramento del servizio (es. più veloce o più conveniente). Si afferma fin da subito che i clienti si aspettano un’esperienza coerente e fluida tra i diversi canali, i quali dovranno essere coesi.

4. Channel Rationalization.
Una buona gestione dei canali non significa necessariamente essere presenti su ognuno di questi. Una simile scelta potrebbe non essere adeguata a tutte le aziende.
Se la buona notizia è che si hanno infiniti canali per connettersi con i consumatori, quella brutta è che si ha un budget limitato nel quale operare.
Perciò si dovrà procedere ad eliminare quei canali sottoperformanti così da razionalizzare e ridurre la complessità del suddetto piano e i costi ad esso riconducibili. In tal modo si avranno risorse disponibili da concentrare sui canali principali, senza compromettere l’esperienza complessiva.   

5. Channel Integration.
Infine, i vari canali utilizzati andranno integrati tra loro.
Definire i requisiti dei clienti e dei canali permetterà a quest’ultimi di far parte di una strategia combinata e coesa, senza la quale si metteranno a repentaglio le prestazioni generali dell’organizzazione.



1.11 L’integrazione omnicanale.

In un mondo on demand, il numero e il tipo di canali per interagire con un’organizzazione sono aumentati, incrementando pertanto i punti di contatto e le opportunità di interazione e di vendita.
Per adeguarsi alle esigenze dei target e per connettersi con essi ovunque si trovino, le aziende hanno investito negli anni in un mix di tecnologie, canali e strumenti, i quali ora dovranno essere coordinati e collegati assieme in modo integrato e armonico. Anche la proposta migliore risulterà fallimentare se presentata sul canale sbagliato.
Al posto di costruire barriere tra online e offline o tra i vari dispositivi, bisognerebbe pensare al coinvolgimento attraverso i canali come ad un processo fluido.
Da una recente ricerca emerge come il 70% delle aziende ha incluso obiettivi relativi ai processi di integrazione omnichannel (Omnichannel Customer Experience, 2020) per migliorare la relazione con il cliente. Tuttavia, il processo in questione è impegnativo in quanto i customer journey divengono sempre più complessi, meno lineari e caratterizzati da molti micro – momenti, con un cliente che si avvale di diversi dispositivi e canali per raggiungere un dato obiettivo. Avendone uno preferito al sorgere di un bisogno specifico, le organizzazioni dovranno strutturarsi per offrire un’presenza omnicanale nelle loro comunicazioni personalizzate.
L’omnicanalità oltre a rappresentare un driver di crescita capace di combinare la customer journey, è il driver decisivo per il successo della customer centricity ed experience, avendo con esse un indice di correlazione superiore al 90% (Report KPMG Advisory, 2018), a riprova di quanto una visione integrata dei touchpoint sia un aspetto rilevante nella gestione e nell’ottimizzazione dell’esperienza cliente complessiva. Si rileva di conseguenza l’aspettativa dei clienti di poter interagire con l’impresa indipendentemente dal canale, dal punto di contatto o dal momento. Ecco perché avere una presenza interattiva multicanale dovrà diventare la norma, permettendo la scelta e l’utilizzo dei canali tradizionali e innovativi secondo le preferenze del consumatore dettate dalle circostanze, dal momento, dall’obiettivo e da ulteriori variabili.
Per garantire un alto livello di esperienza omnicanale, questa dovrà essere connessa e correlata tra tutti i punti di contatto (fisici e digitali) mediante proposte e comunicazioni integrate, omogenee e coerenti tra di loro e con le esigenze del cliente, dal punto di vista dell’ingaggio e dell’interazione nonché sulla facilità percepita dal target nel passare tra i touchpoint. I clienti vogliono passare da un canale di interazione all’altro (c.d. channelhopping) in modo fluido e veloce, senza attriti o interruzioni dell’esperienza. Attriti che hanno un costo elevato portando ogni anno alla perdita di 213 miliardi di dollari negli USA (Baymard Institute, 2018). Dunque, sarà cruciale l’offerta di journey semplificati ed unificati.
La transizione da un canale all’altro dovrà essere senza soluzioni di continuità e la coerenza sarà una componente critica per un coinvolgimento unico e olistico. Così si offrirà un’esperienza di marca unificata tra tutti i touchpoint attivi in ottica cross – device (i consumatori non usano un solo device alla volta) e cross – channel, nonostante l’eterogeneità che li caratterizza: l’omnicanalità consiste proprio in una vista d’insieme dell’individuo che si svincolata dal singolo canale per diventare cliente centrica.
La centralizzazione e l’aggiornamento istantaneo delle informazioni sono un abilitatore essenziale per avere un’esperienza di canale congiunta ed una visione unica del cliente. Infatti questi si aspettano di essere riconosciuti dall’impresa, la quale dovrà ricordarsi delle loro specificità, delle preferenze e delle interazioni passate adattandosi di conseguenza.
La trattazione effettuata mostra la necessità di intraprendere un processo di integrazione omnicanale che tenga in considerazione tutti i punti di contatto con il target così da presentare e offrire la soluzione adeguata, al momento opportuno, nel posto in cui è più favorevole a riceverla.



1.12 Dalla reazione alla previsione.

L’approccio alla personalizzazione diviene sempre più anticipatorio, poiché le aziende utilizzano analisi avanzate per raggiungere i clienti prima ancora che si rendano conto di avere una necessità. Piuttosto che concentrarsi sui comportamenti passati, l’interesse dovrà essere orientato a ciò che il cliente probabilmente farà in futuro.
In questo senso, non basterà più rispondere attivamente reagendo ad elementi individuati nella domanda e nel comportamento del consumatore ma il suddetto processo dovrà essere perseguito con proattività. Non si dovrà solo soddisfare ma anche anticipare le necessità e i bisogni futuri del cliente, al fine di superare le sue aspettative in tutto il customer journey offrendo al contempo un’esperienza e un servizio migliore. Le organizzazioni dovranno diventare più veloci e flessibili nel predire le mutevoli preferenze degli interlocutori.Ecco perché il 59% degli Amministratori Delegati ritrova nell’agilità la “new currency of the business” (GrowingPains, 2018 CEO Global Outlook).
Todd Paris, managing director di Deloitte Digital afferma che “The brands that will win aren’t just retargeting a customer based on where he or she was last week. They are predicting where the customer will be next week and how much they will spend” (Deloitte Digital, The keys to marketing in the moment).
Per passare da un approccio di reazione ad uno di previsione agile e proattivo, è necessario comprendere i segnali che indicano la consapevolezza o il bisogno del cliente e i triggers che lo portano ad agire. Questi segnali sono contenuti nei dati raccolti in tempo reale dall’azienda durante il customer journey e in quelli di seconda e terza parte. I suddetti dati aggregati ed integrati verranno elaborati mediante nuove forme di analisi predittive avanzate (come l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico e le reti neurali), per aiutare le aziende a guidare il coinvolgimento del cliente con contenuti, messaggi e, più in generale, offerte di marketing dinamiche, mirate e pertinenti. Un nuovo livello di personalizzazione istantanea.



1.13 La customer experience come vantaggio competitivo sostenibile.

Nell’era digitale odierna, il customer engagement diventa una componente strategica per il miglioramento delle performance, ad esempio aiutando ad assicurarsi un vantaggio competitivo (Kumar e Pansari, 2016), aumentare le vendite (Neff, 2007) insieme alla quota di mercato e alla profittabilità (Hoyer et al., 2010), sia in ambito B2C sia in quello B2B (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about?).
Le suddette strategie, quindi, non dovranno essere solo proattive ma anche ingaggianti per il target di riferimento con quasi 2 consumatori su 3 che esigono un “engage” col brand 24 ore su 24, 7 giorni su 7 (IAB, 2019).
Le imprese dovranno sviluppare un “orientamento strategico all’engagement” con l’obiettivo di creare, attraverso l’esperienza nei vari touchpoint, profondi legami (Kumar e Pansari, 2016).
Il fine ultimo della customer centricity, nonché il suo output naturale, è quello di creare engagement e favorire esperienze positive, significative, uniche e accattivanti per il target di riferimento, superiori a quelle offerte dai competitor, così da poterle capitalizzare. Customer experience e customer centricity sono strettamente legate in quanto per ottenere esperienze eccellenti bisognerà partire da un paradigma cliente centrico.
Paolo Capaccioni, Partner KPMG Advisory, definisce la customer experience come “la somma delle esperienze, delle sensazioni, delle emozioni e dei ricordi che un cliente matura nell’interazione con i brand”. Questa comprende tutti gli aspetti concernenti l’offerta come le caratteristiche, la qualità e il valore del prodotto o del servizio, la convenienza, la facilità d’uso, l’accessibilità e l’affidabilità, la velocità, il packaging, i dipendenti con i quali si interagisce, la pubblicità, la qualità del servizio e, come vedremo nel proseguo, molto altro ancora (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about?).
Un’indagine effettuata da EY mostra che l’80% dei clienti dichiara che l’esperienza vissuta durante il journey è decisiva tanto quanto l’offerta e le sue caratteristiche (EY, Global Consumer Survey) e il 73% la reputa un elemento importante nelle decisioni d’acquisto (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/2018),  aiutandoli ad orientarsi tra le varie opzioni. In effetti, l’EY Mobilty Consumer Index (EY Global, 2020), oltre a rilevare un rafforzamento dei tradizionali driver d’acquisto come il rapporto qualità – prezzo, segnala un innalzamento dell’attenzione all’esperienza d’acquisto.
La rapida innovazione e l’intensa arena competitiva rende difficoltoso vincere sulla concorrenza solo sulla base del prodotto e ad un certo punto la riduzione dei prezzi difficilmente sarà la strategia ottimale. Molti clienti non trovano il valore negli sconti ma nella capacità delle imprese di risolvere i loro problemi (Capgemini Invent, one happy customer) che siano in termini di risparmio di tempo e fatica, aumento del comfort, diminuzione degli attriti, di personalizzazione, di coinvolgimento ed interazioni, di connessioni emotive e comprensione, di risposte o consigli pertinenti e tempestive.
A differenza del risparmio sul prezzo, che rappresenta un guadagno una tantum per i clienti, il valore creato attraverso l’esperienza si accumula nel tempo permettendo così la sua soddisfazione e fedeltà nel tempo. Essere cliente centrici significa ambire alla ricerca di nuove e migliori soluzioni atte alla soddisfazione del cliente, la quale è per l’appunto il risultato netto di varie customer experience (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about?).
Le imprese cliente centriche vedono nell’esperienza una fonte di valore commerciale e finanziario per azionisti e proprietari, per differenziarsi dalla concorrenza e per ottenere una redditività superiore che conduce ad una crescita sostenibile. I soggetti premiano le esperienze migliori e il ritorno è tangibile.
● L’81% dei consumatori per un’esperienza migliore è disposto a pagare un prezzo maggiore fino al 16% (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/2018).Questi saranno 4,5 volte più propensi a pagare un premio di prezzo (Harvard business Review, 2014).
● Aumenta la spesa media e l’AOV.Una customer experience positiva aumenta la spesa del 40% rispetto ad una insoddisfacente (Harvard business Review, 2014), con il 9% dei clienti disposti ad incrementarla di oltre la metà (Capgemini Digital Transformation Institute analysis; Capgemini digital customer experience executive survey February-March 2017, and consumer survey March 2017). In aggiunta, questi consumatori sono 3,6 volte più propensi al cross – selling e all’up – selling (Deloitte Project Experience).
● Impatto sulla loyalty e sull’advocacy. Una ricerca effettuata da Forrester ha dimostrato che la customer experience è altamente correlata alla fedeltà e all’advocacy del consumatore (Temkin, 2009). Un’esperienza di qualità aumenta di 2,7 volte la propensione di un cliente a continuare a rivolgersi ad una stessa organizzazione (Deloitte Project Experience), ottenendo anche benefici in termini di NPS (Capgemini Digital Transformation Institute analysis; Capgemini digital customer experience executive survey February-March 2017, and consumer survey March 2017), guidando la crescita. Difatti gli studi dimostrano che un consumatore soddisfatto riporterà a nove persone in media un’esperienza di qualità elevata, a sedici se è stata negativa (Forbes, 2015).
● Aumenta la disponibilità a fornire i propri dati personali del 63% (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/18).
● Differenziazione dalla concorrenza. Si prevede che l’esperienza fornita ai clienti diventerà un elemento di differenziazione chiave, maggiormente influente rispetto alle componenti prezzo e prodotto (Capgemini Digital Transformation Institute analysis; Capgemini digital customer experience executive survey February–March 2017, and consumer survey March 2017), in un contesto dove ciò diverrà sempre più complesso (Capgemini Consulting. Winning at segmentation: Strategies for a digital age).

Per queste ragioni, l’89% dei CEO e dei responsabili delle attività di marketing competono sulla base della customer experience (Gartner for Marketers, Customer Experience Primer, 2016). Si riconosce che non è solo quanto esige la clientela ma è anche fondamentale per aumentare la base di clienti e per mantenere quelli attuali nel complesso e affollato panorama digitale di oggi, dove le opzioni di scelta pullulano.
Un vantaggio competitivo sostenibile per un’azienda nasce appunto dalla capacità di trasformare le aspettative e le esigenze del target (in rapida crescita continua) in straordinarie esperienze d’acquisto che entrino stabilmente nella loro mente, orientando in tal modo i comportamenti e guidando la crescita e la redditività futura. Questo è ancor più vero se si considera l’elevato potere e controllo nelle mani dei consumatori, la crescente globalizzazione, l’intensa competizione e le immense possibilità a loro disposizione. Per giunta, la rivoluzione digitale e la sofisticazione della tecnologia, con l’ingresso di brand dirsuptive che ridefiniscono nuovi target di Customer Experience, hanno portato alla tendenza a considerare le esperienze memorabili vissute lo standard di riferimento per valutare le interazioni con tutti gli altri marchi, innalzando ulteriormente le aspettative e le esigenze.
Tuttavia, solo il 7% delle imprese offre esperienze simili (Gartner for Marketers, Customer Experience Primer, 2016). Ciò viene percepito dai clienti: sono pochi coloro che pensano di ricevere abbastanza attenzioni in tal senso. Solo il 49% dei consumatori statunitensi dichiara di ricevere una buona esperienza quando si rivolgono ad un’organizzazione e il 54% afferma che è prioritario un miglioramento di questa (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/2018). Si tratta di una delle cause del divario tra cliente e brand per quanto riguarda la customer centricity.
Ciò porta a gravi ripercussioni. Un’esperienza negativa è un indicatore principale del tasso di abbandono dei clienti (Hubspot, How to reduce custode churn), probabilmente non avendo una seconda possibilità. Difatti, se l’84% degli acquirenti statunitensi non si rivolgerà più ad un’azienda dopo aver vissuto esperienze non allineate alle loro aspettative (Convey, Last Mile Delivery: what shoppers want and how to save retail, 2018) e il 32% non si rivolgerà più ad un brand che ha amato dopo una sola esperienza negativa (PwC Future of Customer Experience Survey 2017/18).
Diviene quindi essenziale affrontare un processo di Customer Experience Transformation, nonostante la gestione dell’esperienza del cliente sia un compito arduo, soprattutto visto l’impatto che il Covid – 19 sta avendo sui comportamenti dei consumatori: quella che in passato era considerata un’esperienza positiva non è stata più sufficiente e quasi tutte le aziende hanno dovuto riorganizzare l’approccio al cliente.
In questo contesto di incertezza serve più che mai una guida da seguire.
KPMG Nunwood, centro internazionale sulla Customer Experience (“Customer Experience Excellence Centre”, CEE Centre), nel redigere best practice di gestione del cliente, ha elaborato un framework di riferimento fondato sui “Six Pillars” ossia indicatori di eccellenza in tema di esperienze clienti (KPMG International Research, February 2020 – August 2020). Questi, sono driver per guidare e migliorare la relazione sia da un punto di vista oggettivo e razionale sia da uno emotivo e irrazionale. Gli elementi emotivi non devono essere trascurati in quanto sono decisivi per il radicamento dei ricordi e delle esperienze nella mente dei clienti, i quali influenzeranno il loro comportamento futuro.
L’utilità dei sei pilastri risiede anche nella possibilità di revisionare periodicamente l’approccio nell’interazione con i consumatori attraverso l’analisi delle best practice.
Nel perseguire i suddetti Pilastri si osserverà un aumento dei tassi di loyalty (in termini di maggiore fidelizzazione) ed advocacy (miglioramento del Net Promoter Score). Perciò risultano essere fortemente correlati con il successo economico dell’impresa.

I Six Pillars sono:

1. Personalization.
Personalizzare l’esperienza per creare una relazione emotiva unica, su misura, tenendo in considerazione le richieste, le aspettative e le esigenze del singolo acquirente che vuole essere riconosciuto come individuo, beneficiario di attenzioni particolari e priorità assoluta per l’impresa.

2. Expectations.
Gestire, conoscere e superare le aspettative del cliente, offrendo esperienze coerenti a queste. Come accennato sopra, le esperienze straordinarie modificano le aspettative nelle interazioni con le altre aziende.

3. Time and Effort.
Minimizzare l’impegno richiesto al cliente, attraverso processi semplici e chiari. I clienti hanno sempre meno tempo e rifuggono dai processi burocratici, complessi e macchinosi. Dunque, le esperienze dovranno essere chiare, rapide, veloci, semplici e senza attriti.

4. Integrity.
Ispirare fiducia ed essere credibili e coerenti agli occhi dei clienti, mantenendo le promesse fatte.
L’integrità dell’esperienza dovrà essere garantita anche in termini di cross – channel e cross – device, differenziandola in base al touchpoint ma mantenendo una coerenza e un’uniformità di base. Infatti, questa rappresenta un viaggio e non una singola interazione e verrà valutata come una combinazione di prospettive, sapendo che sogni punto di contatto, dalla fase di advertising fino al post sales, potrà influenzare la percezione e la fedeltà dei clienti.
Bisogna per di più sottolineare che la customer experience in senso moderno dovrà essere fornita da tutta l’organizzazione e non solo dalle funzioni marketing e vendite (Capgemini Invent, One happy customer). Tutti i dipendenti, in qualsiasi area aziendale, incarnano e rappresentano il brand e la cultura che lo modella. Dopo aver progettato l’esperienza con attenzione e meticolosità, si dovrà istruire tutti i collaboratori con una serie di linee guida, standard e principi per assicurarsi che venga fornita correttamente, in linea con la strategia complessiva.  Trascurare ciò significa creare discrepanze che porteranno ad una percezione incoerente e disarticolata del marchio, poiché individui diversi forniranno customer experience differenti (Capgemini group, Customer experience – What’s it all about?).

5. Resolution.
Trasformare un’esperienza semplice in una brillante. Alla base della customer centricity e delle esperienze che ne conseguono vi è un incessante focus alla risoluzione dei problemi dei clienti per raggiungere l’ambita soddisfazione.

6. Empathy.
Per empatia si intende la capacità dei brand di immedesimarsi nel consumatore, cercando di capire cosa sta vivendo e cosa sente in quel preciso momento, adattandosi di conseguenza. Così si arriverà a comprendere il cliente e le sue aspettative per instaurare una relazione profonda ed emotivamente coinvolgente. Le imprese dovranno dimostrare di essere attente, modificando le attività grazie a questa comprensione.
Il Pilastro in questione è particolarmente importante nell’attuale periodo pandemico in cui l’ansia, la mancanza di sicurezza e le preoccupazioni sono alte. Per giunta, il presente contesto ha visto un innalzamento dell’attenzione alle pratiche commerciali sostenibili (PwC, Global Consumer Insights Survey 2020).
Bob Liodice, CEO di ANA (Association National Advertiser) sostiene che “In this time of crisis, brands are exploring every possible means to remain helpful and relevant to their customers, and making empathy a key part of their decision- making process is a wise approach” (Forbes, 2020). Quindi la crisi sanitaria ha reso ancor più decisivi i Pillars Integrità ed Empatia, per connettersi emotivamente con i consumatori e mantenere una loyalty duratura. Le imprese dovranno esprimere una sensibilità all’ambiente nel quale operano e al benessere dei consumatori, agendo in modo responsabile ed etico. Si dovranno così posizionare i propri clienti al pari degli altri stakeholder e shareholder. Su questa linea, John Mackey, CEO di Whole Foods, scrisse che “il nostro più importante interlocutore non sono i nostri azionisti, ma i nostri clienti. Il nostro lavoro è soddisfare i bisogni e i desideri dei nostri clienti più fedeli” (Jarach e Reina, 2017).


Effettivamente, la maggior parte dei concetti esposti in questo framework sono già stati approfonditi nel corso del presente capitolo ma ora vengono formalizzati come sei dimensioni dell’esperienza nelle quali le imprese dovranno focalizzarsi per eccellere poiché è attraverso queste che i clienti giudicheranno le interazioni. Padroneggiare questo set di elementi significa determinare la qualità e la solidità della relazione brand – consumatore.

I Pillars vengono utilizzati anche per elaborare il Customer Experience Excellence Score (CEE Score), mediante l’analisi dei giudizi di campioni dei clienti in merito a certi brand. Questo viene utilizzato come indicatore sintetico della Customer Experience.

Negli anni si è potuto constatare la relazione positiva tra le performance finanziare dell’impresa e il CEE Score dei brand a riprova del fatto che una migliore esperienza del cliente garantisce un aumento del valore economico per l’impresa. Un valore economico che sarà massimizzato quando l’offerta e l’esperienza fornita al cliente si allineerà coerentemente alle sue aspettative.


Per esempio, nel 2018, le aziende rientranti nella Top 100 sono riuscite a raggiungere un tetto di ricavo due volte maggiore rispetto alle aziende classificate oltre la posizione numero 100, le quali avevano registrato un aumento medio dei ricavi del 11,6% nei tre anni precedenti contro il 25,3% dei brand nella Top 100 (elaborazione KPMG su dati AIDA, Amadeus). Le organizzazioni che padroneggiano i sei pilastri crescono più rapidamente e ottimizzano i costi.


In conclusione, si può quindi affermare che il cliente non sarà più al “centro” bensì “accanto” all’impresa in modo attivo nella co-creazione di valore per se stesso e per l’impresa.



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Andrea Parmigiani

Author Andrea Parmigiani

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